L’era eroica della vela
di Flavio Scala
Ho iniziato a Brenzone con le vele latine dei pescatori. Scuole di vela allora non ce n’erano e da autodidatta cercavo in prestito una barca dagli amici di mio padre.
Ma è della Star che mi sono innamorato: una barca molto bella, ma difficile, la più tecnica.
A tredici anni, di ritorno dalle vacanze a Bezzecca di Ledro, io, mia mamma e mio fratello ci siamo accorti che la macchina fotografica era rimasta su in valle. Mi sono fatto lasciare a Riva del Garda davanti alla Fraglia mentre loro due sono tornati indietro a prenderla. Lì c’era il signor Gigiotti, il custode del circolo, con una Star. “Mio Dio, è bellissima. È in vendita?” gli chiedo, tanto per domandare. Più tardi mia mamma ha chiamato il proprietario di quella Star e cinque giorno dopo, con un piccolo sconto ce la siamo portata a casa per 220.000 lire. Era una vecchia Star, tutta in legno massiccio; pesava 780 kg, contro i 670 kg delle altre stelle.
Prima con mio fratello, poi con Mauro Testa ho partecipato a tutte le regate del Garda.
Perché io e Mauro ci siamo scelti? C’era feeling tra noi due. Eravamo appassionati di vela, certamente, ma le belle donne e il divertimento non erano da meno.
Ma quella vecchia Star era troppo pesante, non era all’altezza di quelle più moderne che venivano dall’Austria o dalla Svizzera. Alle regate siamo arrivati bene una volta sola eppure le abbiamo finite tutte. Tagliavamo il traguardo anche dieci minuti dopo il penultimo, tanto che ci hanno addirittura premiati per la costanza.
“Prenditi una Star americana, è la migliore. Se anche con quella arrivi ultimo è sicuramente colpa tua, non più della barca” mi ha detto il signor Tomasoni.
Mia mamma come al solito mi ha accontentato e nel 1965, con poco dispiacere, ho rinunciato agli esami di maturità per andare a Genova con Gianruben Romani a prendere la mia Star americana, nuova di zecca. Da quando abbiamo cambiato barca sono arrivati i primi risultati. Abbiamo iniziato con le regate classiche di Genova, Trieste e quelle dei laghi di Como e Lecco. Siamo andati sempre meglio, abbiamo vinto le qualifiche all’Argentario e in Sardegna, contro Gigi Croce, abbiamo vinto le selezioni per le Olimpiadi di Monaco a Kiel, nel 1972.
Eravamo in forma e pieni di entusiasmo. Il nostro affiatamento era ottimale. Con vento teso, quello tipico di Kiel, era difficile batterci e la nostra Star americana era tirata a puntino. Per cinque volte abbiamo virato primi alla boa di bolina, poi il vento calava e si subiva il ritorno degli avversari. La prima regata siamo andati benino, la seconda siamo arrivati sesti, poi aeebbiamo fatto un terzo, un secondo posto e un dodicesimo che abbiamo scartato. Solo nell’ultima regata, che abbiamo vinto, l’aria ha tenuto dall’inizio alla fine. Con l’amaro in bocca abbiamo chiuso al quinto posto.
Alla prima prova del Campionato mondiale di Rio de Janeiro del 1980 abbiamo chiuso al 35° posto, alla seconda al 27°. Poi abbiamo fatto due primi, un terzo e un quinto posto chiudendo in quarta posizione dopo Albino Fravezzi e Giorgio Gorla, rispettivamente in seconda e terza posizione: tre equipaggi del Garda nei primi quattro.
Dopo la morte di mio fratello in Brasile ho smesso con la vela per qualche anno.
Con la Star ho fatto ancora qualche regata, ho vinto una decina di italiani e partecipato a degli europei con tanti prodieri diversi. Nel 1966 ho vinto la Centomiglia del Garda con Liz, la mia Star e una con Grifo nel 1981. Era più bello correre la Centomiglia del Garda quando era multiclasse: con un vincitore assoluto si battagliava parecchio.
Ho partecipato alla Coppa America su Azzurra nel 1983 e su Italia nel 1987. Io volevo timonare, non mi interessava fare lo skipper, che è quasi un manager, ma c’erano troppe battaglie. Non sono mai stato diplomatico e ho preferito lasciar perdere piuttosto che scendere a compromessi così, nel 1987, ho salutato quel mondo e ho aperto Casa Italia: un ristorante in Australia con Maurizio Gucci.
Ho fatto ancora qualche regata con la classe 12 metri e in Sardegna nel 1984 abbiamo vinto il Campionato del mondo. Poi per cinque anni sono andato su Agneta, una barca molto performante dell’armatrice Raffaella Stefani, con la quale abbiamo vinto molto.
Avrei vinto molto di più se mi fossi dedicato alla vela come alle donne e al divertimento. Di media, durante un campionato di sette giorni avrò dormito forse tre notti.
In Danimarca allo svincolo dell’autostrada io e Mauro abbiamo perso la barca: c’era una buca e ci siamo dimenticati di chiudere la leva del carrello. Stavamo andando a giocare a golf con due ragazze che avevamo appena rimorchiato.
Alle Olimpiadi di Kiel invece ci hanno messo a dormire al piano terra, vicino ai giudici, come si fa con i bambini dell’asilo, ma noi siamo scappati dalla finestra per andare a far festa. Avevo ventisette anni e mi volevo divertire.
Da ragazzo andavo in Fraglia a prendere il sole o a fare i giri in barca davanti alla sede per farmi bello davanti alle ragazze. Siamo stati noi a inventarci tutte le feste e le cene post regata, gli altri circoli ci hanno copiati.
Noi abbiamo vissuto l’era eroica della vela. Allora era tutto diverso, più genuino. Tra regatanti eravamo tutti amici e c’era voglia di stare assieme. Adesso ci sono livelli di agonismo e competitività molto alti. Una volta valevano le regole, adesso puoi anche sbagliare ma se hai l’avvocato giusto puoi risolvere tutto.
Certo i tempi sono cambiati ma appena metto piede in Fraglia respiro ancora tanta umanità, voglia di fare e stare assieme. Gianni Testa è unico. Non so neanche come faccia. Ed è grazie a lui se oggi Malcesine ha una Fraglia tanto bella e famosa nel mondo, conosciuta come una delle migliori.